venerdì 11 dicembre 2009

Le poesie di Maurizio Ferrari




Un altro giorno ancora

Poesie

Maurizio e i suoi paesaggi

Ad Adriana, che mi è sposa
A Chiara, che mi è figlia
A Stefano, che mi è figlio
Ad Alfredo, che mi è amico e fratello a Mina, la sua compagna.


INTRODUZIONE


Maurizio l’ho conosciuto in una caserma di Foligno nel lontano 1974, chiamati entrambi alle armi. Lui era di Brescia, io di Collemeto di Galatina, anche se vivevo a Civita Castellana, dove i miei mi avevano portato ragazzo per la coltivazione del tabacco.
La vita di caserma non faceva per noi, abituati a ragionare e a vedere le cose con gli occhi dell’umano sentire. Un mondo assurdo, violento, ridicolo, strappati ai nostri interessi, agli affetti, al lavoro, alla normalità del vivere. Ma lì niente aveva senso e ci sembrava di essere capitati in un mondo di pazzi. Ma, l’uomo, si sa, pur in ambiente ostile, alla fine trova il suo adattamento, una sua ragion d’essere. L’amicizia, ecco, l’amicizia ci ha salvati, la comunione d’intenti, il favellar di poesia, di libri, di ideali, di un mondo libero e pacifico; il favellar dei nostri amori, della sua donna proibita che scendeva sui binari col suo bambino in braccio e io che cedevo il passo e me ne tornavo solitario a inseguire volti di fanciulle, mendicando uno sguardo, per me, dannato qualunque in divisa grigioverde. Come altri cinque mila a Foligno.
Nella tetra e assurda vita di caserma, Maurizio si proiettava fuori a raccontare pensieri e gesti quotidiani della vita reale che, nella circostanza, ci apparivano nella dimensione di un sogno. Che invidia ci suscitava, quando si stava di guardia sull’altana, l'uomo della ferrovia sottostante che perlustrava i binari fischiettando. Ma una volta fuori, in libera uscita, per lui, il mondo normale acquistava la dimensione della poesia, la poesia che liberava i gesti, i sogni, i pensieri. Invidiavo la sua loquacità, io che affidavo i miei pensieri a un quaderno che imbrattavo di proteste, indignazioni, per non dire poesie accorate per i miei amori infranti. Ecco, capii ben presto che la poesia a Maurizio scaturiva dalle parole, dai gesti, dalle risate, dall’amore, dalla rabbia. Ma lui non scriveva poesie, quasi potesse far torto a Dante, a Leopardi.
Scappammo una volta dalla caserma e in autostop arrivammo a Civita Castellana. Lì, nella mia casa di campagna dove i miei sgobbavano a smuovere zolle di terra, sempre chini per un tozzo di pane, Maurizio scoprì la tavola dei miei, il pane e il vino dei miei, le parole dei miei, il sorriso, il calore dei miei. Me ne parlava come incantato, quasi avesse voluto anche lui una famiglia così. Ma quel parlare dei miei era un tocco di poesia per me, poesia che si perdeva nel vento, ma che in me lasciava tracce indelebili, la toccavo con mano: le parole come pietre.
Ecco, con Maurizio ho imparato che poesia non è solo quel che si scrive, ma anche quel che si dice, soprattutto quel che si dice. Con gli anni poi, la poesia me l’ha fatta scoprire nei paesaggi che andava catturando armato di treppiede e fotocamera, levandosi sul presto per imprigionare i vapori delle albe in montagna o le ombre della sera in riva a un lago imbrigliato nei colori dell'autunno.
Poi un giorno Maurizio, a cinquant’anni suonati, s’ammala e, come tutti quelli che si ammalano, non se ne fa una ragione, si dibatte, protesta e dice che no! che no! E dice che no! Finché un giorno, finalmente, prende carta e penna e inizia a raccontarsi. E quelle nuvole passeggere dei suoi pensieri che non toccavano mai il suolo, ecco prendere corpo, farsi carne, farsi poesia. È il miracolo della poesia che salva la vita, che può essere breve o lunga come per tutti, ma la poesia è lì, chiusa in un quaderno come in una gabbia. E la gabbia si apre ogni tanto, si apre da sola anche, e i versi ti rotolano addosso e ti portano suoni, ritmi, canzoni, sogni, voci, visioni, presti mattini, ulivi contorti, prugnoli divelti, il sole caldo dopo i giorni grigi. Ma anche la madre immaginata su di una panchina: un colpo un tuffo. / Seduta tra altre figure / mia madre. / Conosco i vestiti, mi è noto lo sguardo. E il fratello lontano: Un’altra vita. / E poi volare oltre il mare. / Abbracciare ancora / il mio fratello caro. / Giovani entrambi. / E di speranza. / Belli. E la nonna nella piccola chiesetta: Ma ieri, forte, domenica mattina, / impulso è stato, entrare ancora, / accender tre candele, come facevi allora. Ma anche, e soprattutto, quegl’implacabili fantasmi che non danno tregua e implora: Domani, un altro / ancora un altro / un nuovo giorno. E poi: …e cercare di sciogliere il nodo, / che, antico di anni, / mi soffoca in cuore.
Più di una poesia è un dono per me. Si tratta di un privilegio, non so se lo merito, mi imbarazza quasi. Ma so che al mondo non c'è regalo più bello di una poesia che ti viene dedicata. E un regalo così puo farlo solo un poeta.



Caserma di Foligno 1974. In camerata sulla branda prima di dormire.
Da destra: Maurizio, Alfredo e altri commilitoni





LE MIE POESIE
Amo levarmi presto
poco dopo il sole,
godermi una porzione di silenzio
profumo di pace di serenità.
Stamattina in giardino
dipingevo di luce i nostri fiori
nell’aria gentile di un aprile:
ero solo con me stesso.
Poco a poco
si spalancano finestre,
si accendono rumori,
voci, vita insomma
di un quartiere.
Il mio vicino poi mi vede
lancia il solito saluto
gli rispondo, un poco in apprensione.
“Anche oggi siam svegliati
e stiamo bene, ringraziando…”
Sto colpito e molto grato
per quel modo, il solo giusto, buono
per aprire gli occhi al giorno.

Brescia, aprile 2009




Arcaici amici dell’uomo di terra,
magnifici torti, ritorti giganti,
gli ulivi:
riflessi d’argento le foglie
verdissimi frutti succosi,
millenaria ricchezza di povere genti.
Passavo nel campo,
ho fermato il motore.
Rossa la terra e pastosa.
Sono sceso e ho sentito
le voci di tanti viventi
abbracciato ad un fusto
commosso parlavo, ascoltavo. <;/p>
Mi son visto tra loro, immortali.
Erede purtroppo di un mondo perduto
Per sempre.

Salento, luglio 2008




Così parlò allora il Generale.
La battaglia sarà lunga e sanguinosa, e la vittoria incerta.
Molto dipenderà da Voi: non arretrate e non vi arrendete.
Combatterete, invece, perché restare prigionieri del Nemico
è forse peggio ancora della morte.
Non getterete via lontan da Voi la vita e il corpo, perché farlo
indarno è infamia grande.
Già il prezzo è alto, ed Io non Vi perdonerei.
Forse, domani, sarete altro, e il mondo lo saprà.
In piedi, adesso, è questo il Vostro giorno!

Brescia, giugno 2008




Dopo giorni nel grigio di pioggia,
qui l’azzurro: io esco.
E siedo in giardino, nel sole mi scaldo.
Il sigaro, acceso.
Volute azzurrine si levano lente
nell’aria, nel cielo.
Io guardo.
Voci, suoni, gli uccelli e il lor canto
nell’aria, nel cielo,
io penso.
C’è un posto, lassù, per il fumo, le voci,
i suoni, i pensieri?
Io dormo.
I miei sogni,
nell’aria, nel cielo.
C’e un posto, qui intorno, per questi?
Io vivo.

Brescia, 15.4.08


Maurizio e i suoi paesaggi



E rideva, rideva


E rideva, rideva.
La gola offerta al vento
il bel capino
arrovesciato indietro.
Di me, senz’altro.
Buffo animale privo d’ali
costretto a camminar la terra,
per sempre dannato
ad invidiar le stelle.
Rideva, rideva,
il bel gabbiano,
e mi guardava.
E il cielo.

Ottobre, 2009




Ho visto il filmato,
cantavi, suonavi la chitarra
e son passati vent’anni!
Molti, in un sol soffio…
Eri giovane, e bello,
squillante ferma la voce,
forza, sicuro il futuro.
Mi son rivisto, io pure
giovane e bello,
risospinto indietro
nel tempo e lo spazio.
Ma oggi, perduta immortalità
ci riscopriamo migliori
più felici.
Non lo siamo?


Casa di campagna di Alfredo e Mina a Civita Castellana: Maurizio e Alfredo (2007).


E subito mi si fecero tutti intorno.
Tutti, ed erano tanti, tutti: oh quanti!
Gli amici e i cari, i colleghi e i semplici conoscenti.
Ma ancora quelli che, per un attimo, come un lampo, ho visti
nei diversi luoghi della Terra.
Con i quali ho scambiato uno sguardo o un saluto.
O una parola, in treno, in strada, o di lontano.
Ma io non ero spaventato, forse solo la muta domanda m’inquietava:
nei loro muti occhi, mute bocche, grande il silenzio della folla così vicina.
Pieni della nostalgia di un altro mondo, quello di prima.
Stavo davvero per rispondere, come non saprei mai dire.
Ma d’un subito, insieme, tutti corremmo
incontro al nuovo arrivato.
Tutti, ed eravamo tanti, tutti: oh quanti!

Brescia, 2.6.2008




La lunga diritta strada fende la campagna
inondata d’ulivi lucenti, nel blu
e nel giallo del sole cocente
che schiaccia la terra e i colori.
Calore dell’aria, immobile densa,
incessante il frinire, furiose cicale impazzite.
Il mare è lontano, laggiù.
A mezzo, comunque, il paese, le case.
La casa: la tua.
Lì sei nato, per primo, poi tutti i fratelli.
Ora vivi lontano e ritorni, legato a questa terra,
d’estate, ogni tanto.
Quale segno ho lasciato per te, viaggiatore del tempo,
dai ricordi orgogliosi e canzoni e ballate?
I tuoi io l’ho colti. Sono anche i miei, ora.
Così pur io navigante mi scopro.
E mi piace.

Puglia, agosto 2008




La lunga diritta strada fende la campagna
inondata d’ulivi lucenti, nel blu
e nel giallo del sole cocente
che schiaccia la terra e i colori
e il calore nell’aria, immobile densa.
Incessante il frinire, furiose cicale impazzite.
E il mare è lontano, di là.
A mezzo comunque è il paese, le case.
La casa: la tua.
Vi sei nato, per primo,
poi tutti i fratelli.
Ora vivi lontano
e ritorni, legato alla terra,
d’estate ogni tanto.
Che tracce ho lasciato, per te,
viaggiatore del tempo.
Che tracce ho trovato, di te?
Orgogliosi ricordi, radici d’ulivo,
canzoni e suonate e cantate.
Oh, mio eterno emigrante!

Salento, agosto 2008





Nel corso dell’ennesimo litigio,
poco più di un battibecco, in realtà:
“Io me ne vado!” gridò lui
e lei: “E vai e vai! Stai meglio solo.
Che sei sposato a fare!”
“Così lontano e non
potrai vedermi più!”
Uscì sbattendo dietro sé la porta.
Andò in banca. Ristette là tre ore.
Passò davanti la stazione,
parve esitare incontro a un treno.
Prese così la strada del Castello.
A una panchina chiese un po’ di fiato…
Il parco era fiorito, primavera.
E molto si fermò, sull’erba.
Poi, verso sera,
sembrò tornare sui suoi passi.
Salì invece sul torrione
guardò il sole, là giù in fondo,
anch’egli ormai morente.
E si gettò, nel baratro, in silenzio.
Brescia, autunno 2009


Maurizio e i suoi paesaggi

Nel nostro libro dall’India,
saggezza orientale,
ogni giorno è un pensiero.
La pagina odierna ci chiede
il giorno più bello.
In tua vita, qual è?
A te rispondo:
è oggi.
Ma ieri, il più bello
Dicevi sia stato.
Ed io: è vero.
E domani, la stessa risposta.
Con te, amor mio, a te vicino.

Brescia, 15.4.08




Oggi è il tuo compleanno.
Passati gli anni e tanti,
non ho avuto un giorno
che non pensassi a te, fratello mio.
E ogni volta, non sentissi
acuta nostalgia, terribile rimpianto.
Quella, per quanto non potrà tornare,
questo, per ciò che non è stato e lo poteva,
per ciò che non ho fatto.
Sta scritto tutto, sul volto mio.
A mezzo della fronte, attorno gli occhi,
ai lati della bocca, triste amara anch’essa.
Sarebbe oggi, sì
il Tuo compleanno.

Brescia, 29 novembre 2008




Oggi ho visto
al limitar del campo, la strada a lato,
il prugnolo selvatico divelto
schiantato, spezzati i rami
a terra tutti i frutti
schiacciati immaturi, mai più raccolti.
Mattino grigio, minacciava pioggia
le orme di un camion,
ché, due braccia più in là,
e sarebbe passato.
Io l’ho sentito, lo strazio il dolore
l’immenso rimpianto verde:
era parte di me, come del tutto
di noi, del mondo.
E ora aspetto, eppur mi sforzo
di riempir quel vuoto
quel senso di morte,
sentire nuova vita per rinascere un poco!

Brescia, 12.6.08

Assorto rapito, cammino,
la solita strada del centro,
via vai di persone,
negozi, vetrine.
Panchine: un colpo un tuffo.
Seduta tra altre figure
mia madre.
Conosco i vestiti, mi è noto lo sguardo
non posso aver dubbi.
Ancora tre passi, allungo una mano
mi siedo, la guardo.
Non pare vedermi, sentirmi.
Non può, non poteva
Mia madre riposa
Da anni, lontano. ;
Mi scuoto
Riprendo la via
Assorto, rapito cammino.
Eppure, chissà,
mi sarebbe piaciuto
Pensieri, pensieri

Brescia, 3.3.2009

Per quel cielo blu, arabescato di rondini rapide,
felici;
per quest’aria tepida, profumata di colori,
dolce;
pel mio giardino, fiorito di regali generosi,
squillante.
Per questo mese aprile, sbocciato alla vita,
crudele;
per il respiro faticoso, mozzato dall’affanno,
nero;
per il sonno, spezzato a mezzo della notte,
breve.
Per tutto ciò, per altro ancora, non so,
io non so proprio chi ringraziare.

Brescia, aprile 2008



Venire, oggi
in questo luogo mesto
freddo mattino
d’inverno padano,
grigio intorno
e pur dentro,
e cercare di sciogliere il nodo,
che, antico di anni,
mi soffoca in cuore.
Solo il pianto
amaro, sommesso
trova un modo.
È poco, non basta.
T’ho perduta
Per legge in natura
o tuo figlio già era da tempo
lontano?
Forse ancora lo sono.
Forse ancora.

Brescia, novembre 2008

Quando il sole, l’alba,
tutto l’oro del mondo
avran versato
e il vento echi lontani
odori e sapori
e spezie porterà
allora fiori, frutti coglieremo
e vino, e ci prepareremo.
Ed io ti bacerò.
Come fosse la prima volta.

Brescia, 26 ott. 2009




Sotto un volto
delle antiche mura
la minuscola chiesetta, antica anch’essa,
esiste ancora, e aspetta.
Ricordi quante volte entravi
con la nonna, che abitava lì vicino
grandi gli occhi spalancati
cristallo il lampadario
argento i cuori, a cento a mille
appesi alle pareti da mani assai devote
e tante le candele, ai piedi ai santi
riflessi, stelle ed ombre, parevan fluttuare
e benedire.
Ricordi, sì lo so.
Ma ieri, forte, domenica mattina,
impulso è stato, entrare ancora,
accender tre candele, come facevi allora.
Commosso sei uscito, un groppo in cuore.
Il bimbo era con te in quel momento.
Quel bimbo che vorresti avere indietro.

Brescia, marzo 2009


Il campanile della chiesetta della nonna di Maurizio a Brescia



Tu sei già sveglio.
Ti muovi appena, ma io ti sento.
Guardo fuori.
Non è più notte
ma non è giorno, ancora.
Ora ti alzi.
Hai chiesto tregua
agli implacabili fantasmi
tuoi pensieri.
Giù in cucina,
alla finestra, il tuo caffè.
Il cielo scruti, aspiri l’aria.
Che forse è dolce, assai serena
potrà esser bella,
magnifica giornata.
Ma passerà in silenzio
inutile sciupata
tra quante ci rimangono.
Domani, un altro.
Ancora un altro
un nuovo giorno.

Brescia, estate 2009



Vorrei avere un'altra vita
incontrarti ancora
e, per la prima volta,
uscita dalla scuola
i libri sotto il braccio.
Lunghi capelli biondi.
Bella.
Un’altra vita.
E poi volare oltre il mare.
Abbracciare ancora
il mio fratello caro.
Giovani entrambi.
E di speranza.
Belli.
Vorrei avere un’altra vita
per chiedere perdono
a tutti quelli che,
in ogni luogo, in ogni tempo
grande, ma spero piccola
offesa ho dato.

Brescia, fine dic. 2009 


Profumi di spezie 


Profumi di spezie
di resine forti
ricoprono ancora
smossa la terra,
dove l’erba non cresce.

Questo parco ospitava
decenni di cedri d’ oriente,
bellissimi, alti
così generosi
e balsamici d’ ombra e di verde.

Qualcuno inquietavano
nel nostro quartiere
di case, di fabbriche
tra fumi e vapori, tumori…

E li hanno tagliati un mattino,
e un poco hanno ucciso anche noi.
Senza croci, né lumi, né fiori.

Solo l’aria conserva
forse ancora per poco,
il profumo, il ricordo.

Dicembre 2009


Sii i miei occhi

Sii i miei occhi, i miei orecchi,
quando vedrò, sentirò
che è arrivato il momento.

Sii la mia bocca, la mia mano,
se parlerò un linguaggio d’ ignoto
se traccerò segni tutti sbagliati.

Sii i miei polmoni,
tu per me suggerai aria buona,
balsami e profumi del mondo.

Sii il mio fegato,
quando il coraggio ti verrà meno;
le mie gambe, i miei piedi,
se sarà inutile calzare scarpe.

Sii tutto il mio corpo
sii tutta la mia mente,
ed io sarò tutto il tuo cuore.
Ultimo giorno del 2009 


L’ultimo bacio

L’ultimo bacio, l’ultimo abbraccio.
L’ultimo pensiero, l’ultimo saluto.
Io ti darò.
A mezzanotte.

Il primo bacio, il primo abbraccio.
Il primo pensiero, il primo saluto.
Avrò per te.
A mezzanotte e tre.
Ultima ora dell’ ultimo giorno.
Dell’ ultimo mese.
Del 2009.




Immensi panorami



Immensi panorami

di cieli e terra,

sempre diversi nel deserto.

La strada ci condusse, alquanto lunga
fin sull’oceano.
Si dormì lì, sulla scogliera,
la musica del vento, le onde forti
intorno a noi, tutta la notte.
Filtrava già la luce del mattino,
ci sveglia un bussar leggero, ripetuto.
C’è un bambino: grandi occhi neri
favillanti d’innocenza.
Ci offre ancor caldo un pane,
come il suo viso rustico.
Mangiammo a sazietà.
E fu il sorriso, così gentile, antico,
a darci nutrimento.
Tutto il giorno.

Africa, 2010




Non so di quella donna



Non so di quella donna e che facesse,

seduta là, in faccia al mare sconfinato.

Avvolta capo e piedi, bellissimi i colori della veste.

Guardava oltre l’ orizzonte.
Forse aspettava,
a me così piace pensare,
la barca ed il suo uomo, il pescatore.
Oppure riposava
di cento fatiche millenarie
delle donne in questa terra.
Forse ascoltava.
Una canzone, una poesia
che il vento e bianche onde
le portavano nel cuore,
venute da lontano, un altro mondo.

Africa, 2010



Milioni

Milioni
di inutili gesti
quanti sono i momenti
perduti, deserti.
Io li vedo marciare
lunga fila serrata.
Non c’è niente da fare.
Primavera è sfiorita
e l’estate è passata.
Ora sono in autunno
ed il tempo mi sfugge,
non lo posso fermare.
Ora l’inverno mi aspetto,
verrà…
Ma un mattino
improvviso segnale di vita
sopra me, dentro al cielo,
son tornate le rondini, gaie.


La Domanda
Non c’è nulla, nulla, nulla?
Non c’è nulla, nulla.
Ma, una scintilla, una favilla?
Non c’è nulla.
Il mio cuore fibrilla,
la mia mente vacilla:
Non c’è nulla?
Non c’è nulla, nulla.
Nulla!

Italia meridionale, giugno 2010


Un diamante

Così profondo oggi è il cielo
ché il mare laggiù vi si fonde.
E sembra ancor puro il mondo
di totale bellezza ammantatato.

Giugno, 2010


Ulisse

Cruda luce, bianca.
Abbagliati, passiamo
questo mare di ulivi
e la meta è un sogno:
l’altro mare
lo Jonio lucente, laggiù.
Se troveremo un vascello
abbracciati dal vento
sul blu spumeggiante
cercheremo di noi
e di come ci siamo perduti,
perché ci siamo lasciati
e mai più ritrovati…
Oh Dei, oh Dei!
Quanto tempo è passato.
Noi dobbiamo tornare:
nostra casa è lontana.
Ma l’Oriente ci ammalia,
sì, l’Oriente:
L’Oriente è vicino.

Salento, luglio 2010



Ho lasciato

Ho lasciato, figlio mio, scoramento
Che mi aprisse un gran varco nel cuore
Ho lasciato, che, figlia,
diventasse più adulto, più forte,
quasi a disperarmi;

Ho lasciato, mio amore,
amor mio solo un’ombra
dell’uomo che avevi;

Ho lasciato, amici miei cari,
compassione e pietà per il mondo,
diventare compagne dei giorni
ma per me, per me solo;

Vi ho lasciato, o voi tutti
O voi cari, tutto indietro,
la vita, l’amore:
sono già sulla strada;

E vorrei mi fermaste,
io non so se potrei,
come fare a tornare tra voi.
Io non so se dovrei…

Brescia, dic. 2010


Touareg

....e molti percosse il sole, il giorno,
ed altri rese pietra il gelo, a notte;
noi, più fortunati,
annichiliti, rimpiccioliti,
ammutoliti finalmente,
dal silenzio.

Sahara, gen. 2010



Sotto un qualunque cielo

Sotto qualunque cielo,
dinanzi qualunque mare,
se con i tuoi pensieri rimani,
solo;
che io sia uno di essi,
che io possa ricordarti
che io sono
che tu sei
amico.

Casa di Brescia, ultima settimana, 2010



Poveri occhi

Poveri occhi,
cercare ogni volta la luce
oltre i segni sul viso
molto più, molto più del passare del tempo;
povera bocca,
cercare ogni volta parole,
modulare canzoni,
spiegare del mondo
ed il senso,
molto più, molto più del passare del tempo;
povere mani,
cercare ogni volta la forza,
trattenere la vita più a lungo,
molto più, molto più del passare del tempo.
Povero cuore,
cercare ogni volta pensieri,
sentire capire sperare il futuro
costruire
molto più, molto più del passare del tempo.

Casa di Brescia, dicembre 2010

Notte di stelle

Notte di stelle...
vicino al fuoco, l'alba è lontana.
Parla, Touareg, parlami ancora!
Là, dove il tutto e il nulla
si congiungono;
là, dove l' azzurro e l'ocra
in sé sprofondano;
là, dov'ebbe inizio,
avrà la fine il mondo!
Che dici, Touareg, che dici?
Io non ti sento!
Nulla da chiedere più,
né da capire.
Tu libera il cuore,
ascolta il vento...
Notte di stelle.
Il fuoco è spento.
L'alba è vicina,
io ascolto il vento.

Erg Chigaga, febbraio 2011



Ricco di musiche

Ricco di musiche e suoni
hai il cuore.
Di luci di mondi, di forti colori
abbacinati hai gli occhi.
Parole inespresse, insondabili pensieri.
Il viaggio, non la meta, ti appartiene,
o capitano.
È tempo che tu renda a noi,
che ti seguiamo,
un poco del tesoro:
un po’ per vedere, un po’ per capire,
un po’ per non morire,
non morire, ancora.

Dakhla, febbraio 2011



Avrei parole (Dedicata ai miei amici Alfredo e Mina)

Avrei parole,
mille ne ho già pronte
per voi amici,
quasi sulla bocca;
avrei gesti,
cento ne ho già pronti
per voi miei cari,
quasi tra le dita, le mani;
avrei abbracci,
tanti, tanti ne ho già pronti,
per voi amici miei cari,
quasi tra le braccia;
io li sento sgorgare,
parole, gesti, abbracci:
oggi non piangerò, le lacrime
non porteranno via la vita.
Vorrei risa,
cento risate io aspetto,
già pronte nella gola;
vorrei sorridere,
mille sorrisi io aspetto,
già pronti negli occhi.
Stasera non piangerò,
saremo insieme,
amici, o cari:
per noi parole e risate e canti,
gesti e sorrisi.
Abbracci, ancora.

Brescia, maggio 2011


Per ogni giorno vissuto, uno è regalato
Al gran supermercato della vita,
ti spettan cose, ma tu non sceglierai.
Ti metton cose nel carrello,
giorni e giorni e giorni.
Giorni belli, buoni pochi,
molti altri tristi,
inutili e mediocri i più.
Di essi non avrai ricordo,
soltanto nebbia intorno al cuore,
pesanti sulle spalle.
Ma quando prendi a caso un giorno,
e vivi fino in fondo,
tu suggi la dolcezza estrema d'esser vivo,
stupito scopritore al mondo.
Ti illudi dell'eterno e già sei grato,
ché vale il doppio:
è regalato.

Da Giu e Gi
Lugo, 21 maggio 2011


In questa parte del mondo

In questa parte del mondo
l’estate il giorno è giorno,
e la notte è giorno!
Non vedi più le stelle,
la luna scialba nasce,
e presto muore.

In questa parte del mondo,
l’inverno la notte è notte,
e il giorno è notte!
Rivedi sì le stelle,
ma il sole, freddo come loro nasce,
e presto muore.

E’ questo il prezzo da pagare
a una natura irriducibile, severa:
il costo del biglietto,
per vivere tra i mille e mille laghi,
profondissime foreste.

In questa parte del mondo,
l’uomo è più lontano all’ uomo,
ed è più solo.
Ma il cuore vede la sua casa immensa,
la sua terra, distesa all’orizzonte,
nell’aurora boreale.

Lontano da casa, giugno 2011



Sì, lasciatemi qui

Sì, lasciatemi qui.
Ma voi proseguite, vi prego.

Ho toccato le acque dei mari del mondo,
gustato sapori, profumi diversi.
Ho visto città, parlato con genti
Mai più conosciute,
linguaggi, costumi lontani.
Ed oggi io sono un po’ tutto questo.
Perciò questo posto mi pare appropriato,
come altri, magari…

Io, pellegrino allo specchio,
seguirò la cometa della mia epifania.
Andate, ripeto, voi tutti!
Più tardi, vi aspetto, non vi preoccupate.

Accorato, il saluto; un ultimo sguardo.
Io resto.

Molto lontano da casa, luglio 2011



Srotola, dipana


Srotola, dipana,
il tuo gomitolo di giorni.
Cominci già a veder l’ inizio?

Ricordi (puoi farlo, prova)
Quanto era bella grande
La matassa, ordinata, nuova,
smagliante di colori, di speranze?

Ti resta ora tra le dita
Il filo di quei giorni.
Riavvolgerlo: non puoi!
Conservalo, però, gelosamente.
E’ tuo, fino alla fine.

Srotola, dipana…
Lentamente.

Casa, nov 2011
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Blog a cura di Alfredo Romano
in omaggio a Maurizio, caro e fraterno amico






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